
Si è svolta il 30 maggio 2025 l’iniziativa della “DiVittorio” sui referendum su LAVORO e CITTADINANZA che si svolgeranno il prossimo 8 e 9 giugno. L’iniziativa si è aperta con l’introduzione di Giovanni Galeone, presidente della “DiVittorio” e dalla relazione di Massimo Di Cesare, segretario della CGIL di Brindisi che ha spiegato il contenuto dei cinque quesiti referendari. Quindi ha chiuso la serata una comunicazione di FULVIO RUBINO, segretario della FLC CGIL e socio della “DiVittorio”. Ne riportiamo qui una breve sintesi, invitando gli interessati a vedere il video dell’iniziativa sulla pagina Facebook dell’Associazione. Buona Lettura

I quesiti referendari sono cinque, ma prima di poter esporre i contenuti dei quesiti permettetemi di effettuare delle premesse che ritengo necessarie per comprendere fino in fondo le questioni.
Innanzitutto 4 quesiti sono relativi al lavoro dipendente.
Il lavoro dipendente o subordinato si ha quando un individuo, il lavoratore, in cambio di una retribuzione, cioè di un compenso in denaro, mette a disposizione di un’altra persona o ente che ha bisogno, il datore, le sue energie psico-fisiche al fine della realizzazione di un bene o servizio nell’interesse del datore di lavoro.
L’essenza del diritto del lavoro si basa sulla circostanza che nel rapporto di lavoro subordinato l’oggetto del contratto ha a che fare con la persona umana.
“Se tutti gli altri contratti riguardano l’avere delle parti, il contratto di lavoro riguarda ancora l’avere per l’imprenditore, ma per il lavoratore riguarda e garantisce l’essere, il bene che è condizione dell’avere e di ogni altro bene”.
Da tale riscontro giuridico-costituzionale discende la necessità di apprestare e riconoscere una serie di diritti in capo al lavoratore e di limitare i poteri storicamente esercitati dal datore di lavoro.
La disciplina protezionistica è pertanto ritagliata attorno alla figura del lavoratore subordinato, parte debole del rapporto.
Negli ultimi decenni, il neo liberismo ha teorizzato la necessità di rendere meno bloccato il lavoro dipendente, più flessibile per il bene delle aziende e del mercato del lavoro che stava mutando.
L’esigenza era data dalla necessità di ridurre i costi per le aziende, in modo particolare i costi del lavoro, in modo da essere più competitive sul mercato.
L’assioma teorico era basato sul concetto che “riducendo i costi, le aziende potevano ridurre il costo dei beni; riducendo il costo dei beni prodotti si sarebbe diventati più competitivi in particolar modo sul mercato estero e, quindi, sarebbe aumentate le esportazioni. Da qui una ricaduta di maggiori ricavi per le aziende che le avrebbero reinvestite nell’azienda e, quindi, i lavoratori avrebbero beneficiato di maggiori risorse, per loro o per la creazione di nuovi posti di lavoro”.
L’Italia si è fatta artefice in primis dell’accettazione di questa teoria e ha prodotto la normativa sul lavoro più flessibile attualmente nello scenario europeo.
Gli altri stati sono stati a vedere cosa succedeva prima di gettarsi anche loro nell’applicazione pratica di tale teoria neoliberista. Se non ché, hanno bloccato nei loro territori il processo iniziato dal momento che hanno osservato che in Italia funzionava la prima parte ma non la seconda: cioè gli imprenditori invece di investire i maggiori ricavi derivanti dall’incremento delle esportazioni, investivano i loro soldi nella finanza e, quindi, non si sono mai registrate ricadute economiche positive sul lavoro subordinato.
Così, le settimane che stiamo vivendo sono un periodo straordinario.
E’ un periodo fondamentale che finalmente ha rimesso al centro temi fondamentali che l’Italia, per troppo tempo, ha derubricato. Il tema del lavoro è proprio uno dei temi su cui si è prodotta la grande rottura tra rappresentanza sociale e rappresentanza politica, anzi, tale rottura si è avuta proprio sul grande tema del lavoro. La questione della cancellazione della centralità e della cultura del lavoro ha, di fatto, aperto una voragine tra le prerogative di realizzazione personale dei cittadini, dei lavoratori e il proprio sentirsi “soggetto collettivo”.
Dopo aver raccolto milioni di firme durante scorsa primavera, oggi siamo impegnati in ogni città, in ogni paese, in ogni piazza, in ogni posto di lavoro a raccontare le norme che vogliamo abrogare, i risultati che vogliamo ottenere.
- La disciplina dei licenziamenti illegittimi, sia per quei lavoratori assunti dopo il 2015, sia nelle piccole aziende;
- l’utilizzo dei contratti a termine;
- la responsabilità del committente per gli infortuni sul lavoro;
sono tutte questioni che hanno peggiorato le condizioni di vita di milioni di persone.
Ma sono soprattutto il segno della svalorizzazione del lavoro nella nostra società.
Si tratta, soprattutto, di ridare dignità al lavoro.
Questi referendum intendono rimettere al centro dell’agenda politica proprio questa dignità.
Una questione di democrazia: di DEMOCRAZIA e PARTECIPAZIONE … concetti lontani dalla idealità dell’attuale compagine governativa.
C’è un nesso stretto tra le condizioni di lavoro, i diritti e le tutele, da una parte, e lo stato della nostra democrazia, dall’altra.
La crisi che viviamo è soprattutto la crisi della PARTECIPAZIONE: in Italia ed in tutto l’Occidente.
Questa situazione mondiale, però, si nutre della disperazione di ampie fasce di cittadini vessati dalle politiche di austerity, iniziate alla fine degli anni ’70, quando Ronald Reagan era alla guida degli Stati Uniti d’America e Margaret Thatcher era alla guida del Regno Unito. Fu in quel periodo che nacque il nuovo neoliberismo che riteneva ormai raggiunta una stabilità economico finanziaria mondiale tale da dover dismettere le soluzioni keynesiane introdotte dopo la grande depressione causata dalla crisi del 1929. DEREGULATION, PRIVATIZZAZIONI e RIDUZIONE DELLE SPESE SOCIALI furono i concetti chiave di quella logica che sta dietro alla affermazione di Milton Friedman: “Una società che mette l’eguaglianza davanti alla libertà non avrà né l’una né l’altra. Una società che mette la libertà davanti all’uguaglianza avrà un buon livello di entrambe”.
E in molti casi, soprattutto i giovani, le persone stanno peggio
- perché hanno un lavoro precario,
- perché non sono sufficientemente retribuite,
- perché sono sotto il ricatto del proprio datore di lavoro,
- perché, pur avendo lavorato tutta la vita, percepiscono una pensione da fame.
Dal punto di vista nazionale, ci troviamo con un governo di destra pura che ha fatto, della propaganda e delle controriforme democratiche e partecipative, lo scopo fondamentale del suo agire, in linea con i loro padri ideologici risalenti al ventennio di dittatura e di repressione del secolo passato.
1 quesito – Scheda verde: Stop ai licenziamenti illegittimi
2 quesito – Scheda arancio: Più tutele per le lavoratrici e i lavoratori delle piccole imprese
3 quesito – Scheda grigio: Riduzione del lavoro precario
4 quesito – Scheda rosso rubino:Più sicurezza sul lavoro
5 quesito – Scheda gialla: Più integrazione con la cittadinanza italiana
Qualcuno ha cercato di asserire che andare a votare e votare i 5 SI sarebbe come tornare indietro.
Orbene, questa affermazione è l’esempio tipico della sottocultura dell’attuale compagine governativa, della destra, circa la storia e lo studio della storia che si è palesata con le nuove indicazioni. Voglio dire cioè, nella visione della destra, essere cittadini modello è essere cittadini assertivi e, quindi, non bisogna ricordare la storia. Così si afferma che i “5 SI” ci fanno tornare indietro e non si rammenta agli italiani che le leggi approvate un po’ di anni e fa, che con il referendum si vogliono ridimensionare ed abrogare, sono state le leggi che ci hanno fatto tornare indietro di oltre 50 anni e la loro cancellazione significa interrompere la regressione reazionaria e riprendere nuovamente a camminare verso un futuro più equo e solidale.
Il voto è il diritto politico per eccellenza ed è strettamente legato alle nozioni di democrazia, di sovranità popolare e di cittadinanza.
Il diritto a partecipare alle elezioni conferito a tutti cittadini maggiorenni, uomini e donne, è una conquista del XX secolo e segna il fondamentale passaggio dallo Stato liberale alla moderna democrazia costituzionale.
Mentre per gli uomini il riconoscimento del suffragio universale si colloca tra il 1848 e il primo dopoguerra, per le donne, invece, è stato generalmente ottenuto tra il primo e il secondo dopoguerra e, in Italia, solo 1946 ad opera dell’Assemblea Costituente.
Anche l’incitamento al “non voto” è parte di quel processo che tende a sminuire la nostra Carta Costituzionale, nata grazie al sacrificio di uomini e donne, padri e madri, nonché da un fervido periodo di concordia fra partiti diversi:
- l’ispirazione mazziniana,
- il marxismo,
- il solidarismo cristiano
- l’ispirazione ecologista.
Via gli oppressori! Via i fascisti!
Nella nostra Costituzione c’è un articolo che è il più impegnativo, impegnativo per tutti, ancor di più per i giovani che sono il nostro futuro. L’art.3 recita: “E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli d’ordine economico e sociale che, limitando di fatta la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del paese”.
Ecco cosa c’è in gioco con questi referendum ed ecco perché le forze reazionarie di destra si oppongono, non per i contenuti, per i quali tra l’altro, al momento dell’approvazione di alcune norme, loro erano contrari, all’opposizione, ma per smontare piano piano tutto l’impalco della Costituzione Repubblicana che ha cancellato il ventennio di dittatura in Italia. Siamo in un momento epocale. Ogni occasione è terreno di una nuova resistenza, in ogni iniziativa, in ogni contratto, in ogni atto di tutela individuale, IN OGNI VOTO
(Fulvio Rubino)
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