La figura di Francesco Muscogiuri, scrittore e critico letterario mesagnese. Relazione del professor Ermes De Mauro Mesagne, venerdì 6 dicembre 2019.

Buonasera a tutti e grazie per essere intervenuti, nonostante l’inclemenza del tempo. Grazie al vicepresidente, Dott. Galeone, per il suo saluto sempre cordiale, significativo e conciso; grazie al Dott. Angelo Sconosciuto per la sua ricca e documentata relazione. Permettetemi di ringraziare il professor Enzo Poci per l’accurata dettagliata biografia del professor Muscogiuri, nonché il professor Domenico Urgesi, presente tra noi, per il suo saggio pubblicato sul volume della giornata di studi, tenuta presso il locale Liceo Scientifico il 29 Gennaio 1988 in onore di Francesco Muscogiuri.

Non si può entrare nel vivo dell’argomento senza richiamare il ruolo fondamentale e decisivo che ebbe Francesco De Sanctis (28.03.1817-20.12.1883) nella formazione culturale del Muscogiuri.

Nel campo della letteratura e della critica letteraria De Sanctis opera un moto di rinnovamento che c’era stato nella storiografia: come? Ribellione al tipo settecentesco ed erudito, nonché a quello illuministico dettato dal filosofismo e dal formale accademismo.

Si esige, quindi, una nuova scuola letteraria, non successione di biografie, ma <<illuminata dal di dentro>> (De Sanctis). Questa esigenza è determinata dall’indirizzo storico della cultura europea e soprattutto dall’influsso del pensiero del Vico: Giambattista Vico, il grande filosofo del Settecento, napoletano, è stato riscoperto da De Sanctis e da Croce. Lo stesso Foscolo nei vv.91-96 dei Sepolcri richiama un concetto già enunciato dal Vico:

​“Dal dì che nozze e tribunali ed are
​dier alle umane belve esser pietose
​di se stesse e d’altrui, toglieano i vivi
​all’etere maligno ed alle fere
​i miserandi avanzi che Natura
​con veci eterne a sensi altri destina”.

De Sanctis frequenta la scuola del purismo di Basilio Puoti, che lo fa nominare insegnante alla Nunziatella. Anche il giovane Leopardi visiterà la scuola di Basilio Puoti a Napoli, accompagnato da Pietro Giordani.

Rivoluzionario in Calabria, patriota, arrestato nel 1850, De Sanctis sconta tre anni di carcere fino al 1853 nelle feroci prigioni di Castel dell’Ovo.

Insegna, poi, nel Politecnico di Zurigo fino al 1860, quando proprio Cavour lo chiama a reggere il dicastero dell’Istruzione. De Sanctis tiene a Napoli due scuole e si dedica con eccezionale interesse alla critica estetica contro la poetica del Cinquecento e quella accademica e neoclassica del Settecento.

Uscito dalla scuola del Puoti, in un primo tempo studia la filosofia di Hegel, ed aderisce all’estetica di Hegel, ma poi, specialmente dopo un corso di lezioni su Dante, si ribella apertamente all’estetica hegeliana, pensando e temendo che l’arte, inglobata nella filosofia, perdesse la sua autonomia.

All’estetica hegeliana contrappone l’estetica della forma, intesa come un’attività originaria ed autonoma dello spirito, per cui la materia diventa arte, non elaborazione di astratto contenuto, ma unità intrinseca di contenuto e forma.

De Sanctis dice: << la base dell’arte non è il bello o il vero o il giusto o altro tipo, ma il VIVENTE, la vita nella sua integrità, per cui sostanza e contenuto dell’opera d’arte non sono le idee, e cioè i personaggi o eventi configurati secondo tipi astratti di bellezza o verità o bontà, ma colti dalla vita, avvertiti come vitali nella realtà, ma pur sempre elaborati dalla fantasia>>.

 

Adesso si può parlare di Francesco Muscogiuri, che, insieme con Francesco Torraca, fu l’allievo prediletto di Francesco De Sanctis, il quale fece iscrivere il Muscogiuri alla facoltà di Lettere Classiche, benché questi non avesse la laurea, ma conosceva bene il francese, il tedesco e il latino.

Nel Maggio del 1875 De Sanctis propone a Ruggero Bonghi, ministro della P.I., di affidare a Muscogiuri il delicatissimo compito di dirigere la classificazione nella biblioteca Vittorio Emanuele a Roma; poi lo fa nominare insegnante del ginnasio di Nicosia, dove rimane fino al 1876, anno in cui torna a Mesagne per restare sempre con la madre.

Non poche sono le pubblicazioni del Muscogiuri: Il Cenacolo, Goethe e il Faust, Teodor Koerner nel 1° Centenario della sua morte, Di alcuni caratteri meno popolari della Commedia, Catulliane, Falstaff e altri saggi.

Il 29.01.1988 si tenne a Mesagne una giornata di studi su Muscogiuri, e ne furono stampati gli atti, che contengono cinque saggi, rispettivamente dei professori Antonio Lucio Giannone, Enzo Poci, Domenico Urgesi, Alvaro Ancora, Fabio Grassi. Il professor Giannone parla di Francesco Torraca (docente di letteratura italiana a Napoli dal 1901 al 1928), il quale in uno scritto su F. De Sanctis e la sua seconda scuola, a proposito del Muscogiuri scrive: <<mostrò nei primi scritti, con un temperamento originale, la tendenza al paradosso, ma seppe frenarla sulle meditazioni severe>>.

Dice Giannone: <<Il primo volume del Muscogiuri, Note Letterarie, pubblicato nel 1877 e dedicato significativamente a Francesco De Sanctis, raccoglie quattro saggi importanti, in quanto servono a chiarire la sua posizione nei confronti delle principali correnti critiche dei più noti movimenti letterari dell’Ottocento. Si nota subito l’affinità con le impostazioni del De Sanctis, allorché Muscogiuri descrive l’operazione critica vera e propria, che si suddivide in due momenti: il primo, costituito dall’impressione; il secondo, dalla ricerca del valore intrinseco del testo.

Anche il Realismo, che è l’argomento del quarto saggio, Il realismo nell’arte, scaturisce per Muscogiuri direttamente dal Romanticismo, depurato però da certi eccessi.

Il Realismo, che per lui rappresenta <<l’avvenire dell’arte>>, sembrerebbe corrispondere perfettamente alle caratteristiche del mondo moderno.

<<È Realismo>>, come dice Victor Hugo, <<la natura calata nell’arte>>; <<è realismo>>, come diceva Lamartine, <<il sentimento armonioso dei dolori e della voluttà dello spirito umano. Analizzare la società, che ci circonda, fonderne e poi separarne gli strati, ritrarne la fisionomia e il carattere, illustrarne i sogni e le ambizioni, riprodurne le gioie, i sentimenti e gli spasimi, è ufficio necessario dell’arte>>.

È evidente che la posizione del Muscogiuri nei confronti del Realismo è abbastanza vicina, come osserva il professore Giannone, a quella del De Sanctis, il quale aveva sostenuto la necessità di contemperare il reale con l’ideale. Nondimeno, a differenza del De Sanctis, che negli ultimi anni affrontò la problematica opera di Zola, Muscogiuri non cita nemmeno una volta in tutti i suoi scritti il nome di Zola. Non si può negare che in questa prima opera, Note letterarie, si ravvisa un Muscogiuridecisamente orientato verso l’arte e la letteratura di indirizzo squisitamente romantico.

Il Cenacolo del 1878 è sicuramente l’opera più importante del Muscogiuri, il quale è tutto proteso verso scrittori romantici e, come dice testualmente il professor Giannone, <<solo marginalmente prende in considerazione Baudelaire, non riuscendo a recepire la novità della sua poesia>>.

Si occupa principalmente di Hugo, de Lamartine, de Vigny, de Musset, Gautier, e dei generi letterari: il dramma, il romanzo, la critica. In particolare prende in esame il periodo centrale del Romanticismo francese, di cui il gruppo animatore fu proprio Il Cenacolo e il maestro e l’ispiratore Victor Hugo. E proprio Hugo espose i principi fondamentali del gruppo: lotta al classicismo, alle regole, alle tre unità aristoteliche, libertà assoluta d’ispirazione. D’altronde anche il nostro Manzoni si era occupato delle tre unità aristoteliche a proposito delle tragedie e, in particolare, dell’Adelchi.

Il professor Giannone non omette neppure di argomentare su Baudelaire, uno dei principali rappresentanti della “scuola satanica”, del quale Muscogiuri dice testualmente: <<fu il poeta della putrefazione e l’autore di un libro malsano, I fiori del male, un’opera alla quale non fà difetto la parte tecnica, che, però, è priva di valore estetico>>. Non bisogna, tuttavia, scandalizzarsi di questo giudizio, perché il nome di Baudelaire in quei tempi suscitava violente reazioni.

Il Muscogiuri, che ha scritto altre opere, collaborazioni a giornali e riviste, scrive un preciso ritratto del De Sanctis, dal tempo della scuola di purismo di Basilio Puoti a quello del carcere di Castel dell’Ovo, agli anni fecondi di Torino e Zurigo e, a proposito del metodo, cita fedelmente le seguenti parole del De Sanctis: <<Avete voi un lavoro da esaminare? Se avete un ingegno che si levi un poco dal comune, quel lavoro vi si denuderà innanzi di tutta la superficie, di tutto ciò che ha di accidentale e di comune: che ci resta? La sua personalità, la sua anima, quello per il quale esso è sé e non un altro. E la nuova scuola, salendo in cattedra, osserva: caro mio, quel che voi credevate occidentale è invece la parte sostanziale della critica. Per noi non basta conoscere l’opera d’arte o rivelarne le bellezze; questo è un esercizio accessorio e accademico; l’importante sta nel risalire alle origini della concezione per rintracciare il fatto storico o la tradizione popolare che ne dettero il motivo>>.

Non meno importante del saggio del professor Giannone è quello del professor Domenico Urgesi, che esprime sottili ed appropriate considerazioni su tre discorsi manoscritti di Francesco Muscogiuri. Un discorso è intitolato Per il 19 Marzo e si riferisce alla commemorazione di una società di mutuo soccorso, intitolata a Garibaldi e inaugurata il 19 Marzo 1863. Il professor Urgesi, che con pazienza certosina ha cercato di reperire le fonti chiarificatrici, esclude che possa trattarsi di società di mutuo soccorso mesagnese, poiché a Mesagne non ne è mai esistita una intitolata a Garibaldi. Ovviamente la sua curiosità storica ha incoraggiato il professor Urgesi a <<delineare il quadro delle società di mutuo soccorso sorte a Mesagne nella seconda metà dell’Ottocento (fino al 1904), alcune delle quali hanno visto Muscogiuri attento protagonista>>. Il professor Urgesi fà notare che la vocazione politica del Muscogiuri è già evidente e presente nel primo discorso, e che lo stesso Muscogiuri dopo le delusioni e le esperienze negative della “Sinistra storica” e della “Sinistra giovane”, auspicava una strategia politica di uguaglianza per i ceti sociali, realizzabile anche con il sistema mutualistico.

Nel secondo discorso, non databile con certezza, si ravvisa un Muscogiuri decisamente propositivo della soluzione mutualistica: infatti si abbandona ad una esaltazione chiaramente enfatica a descrivere i non pochi vantaggi prodotti dalle società di mutuo soccorso da quelli economici a quelli civili.

Il delinearsi in Muscogiuri di una personalità politica è fin troppo evidente in un altro discorso, rivolto alla classe operaia; egli si pone la domanda: <<Che cosa è lo Stato?>>. E nella risposta, che egli stesso si dà, risuona l’eco neohegeliana tipica della scuola napoletana di De Sanctis e Spaventa: <<Lo Stato è una grande e necessaria tutela […], è una grande necessità come l’aria, la luce, […] e non si trova società civile che non abbia uno Stato>>. Egli esclude, come afferma il professor Urgesi, un governo assoluto e crede fermamente nel governo costituzionale e repubblicano, perché <<la virtù del popolo, e nel popolo intendo le classi abbienti e non abbienti, è la pietra angolare dell’edifizio>>.

Non posso concludere questo discorso piuttosto sommario sul Nostro, senza ricordare il Muscogiuri dantista, che si cimentò anche in una pregevole monografia su tre personaggi della Commedia: Guido da Montefeltro, Belacqua e Piccarda Donati. Prima di entrare nel vivo dei personaggi il Muscogiuri si augura che risorga il culto di Dante (evidentemente sopito anche ai suoi tempi) e sia auspicio di una rigenerazione morale e letteraria. Si augura, inoltre, che sia il Carducci, scrittore e poeta di fama europea, a innalzare alla memoria del nostro maggior poeta un monumento imperituro.

Il primo personaggio è Guido di Montefeltro (1220-1298): ghibellino, governatore di Forlì, combatté vittoriosamente contro i guelfi bolognesi; nel 1282 fu eletto podestà a Pisa per rafforzare il partito dei ghibellini; poi finì frate francescano. Dante lo incontra nell’ottava bolgia dell’ottavo cerchio (Inferno, XXVII), perché aveva dato un consiglio fraudolento al famigerato pontefice Bonifacio VIII, avidamente interessato a conquistare Palestrina. Muscogiuri si sofferma prima sui vv. 33-57 (Inferno, XXVII), in cui è scolpita l’infelice Romagna con la descrizione dei più famosi castelli e delle signorie di quella regione. Con i versi 58-66 (Inferno, XXVII), comincia il dramma: nel fuoco della fiammella e nelle parole di Guido si ravvisa il tiranno. Guido, secondo la finzione di Dante, crede che la colpa che lo ha perdonato, alla fine della vita, sia rimasta ignota al mondo. Egli era morto, infatti, nel convento francescano dove si era ritirato dopo il suo pentimento. Nei versi 67-84 (Inferno, XXVII), Guido non nasconde ad arte il suo nome e Muscogiuri osserva che Dante sa ormai chi è quel dannato, e la fosca e incerta leggenda gli si riaffaccia ora alla mente, chiarificata dalla sprezzante parola del conte di Urbino. Nei versi 85-99 (Inferno, XXVII), la tela della misteriosa leggenda, secondo il Muscogiuri, si dispiega gradatamente, e un’altra figura ancora più torva si affaccia sulla scena. È Bonifacio VIII, il principe dei nuovi Farisei, il più funesto nemico della libertà fiorentina. Dice ancora Muscogiuri: <<Il mansueto pastore della Chiesa e il vicario di Cristo sulla terra, messo di grazia e ministro di pace, dimentica il sommo ufficio di cui è insignito e diviene il lupo del suo gregge. La lebbra dell’ira aveva infettato l’animo suo, acceso impetuosamente di sconfinato dominio. Smarrito il senso della rettitudine morale e politica, si avvaleva della potestà pontificia per affermare in Europa la supremazia della Chiesa, non già militante ma armeggiante e aggressiva. […] Sollecito più dei vantaggi terreni che del prestigio dell’alta dignità pontificia, sprezzante il sacro capestro di San Francesco, intento a violare la coscienza di un povero frate (Guido da Montefeltro), tornato al sentiero della virtù dopo lunghi anni di vita malvagia, ispira abominio ed orrore>>. L’anima dannata si allontana a poco a poco nel fosso fiammeggiante, ma quanto strazio c’è in quel dolorando del v. 131, e quanta tristezza in quel partio del medesimo verso. Muscogiuri mette in rilievo il fatto che né dolore, né tristezza si dipinge sul volto di Dante, il quale passa oltre senza rivolgere a Guido una sola parola di conforto. Toccanti sono le parole di Muscogiuri che chiudono il commento: <<Tutto è umano nell’inferno di Dante: le immagini e i caratteri, gli accenti e la lingua; ma ancor più umano è il sentimento del poeta. E in questo sublime umanesimo è riposto il pregio principale dell’epica tregenda>>.

Il secondo personaggio è Belacqua, il liutaio, molto famoso per la sua pigrizia, che Dante incontra nel canto IV del Purgatorio. <<Fuit optimus magister chitararum et leutorum, et peritissimushomo in operibus mundi, sicut in operibus animae>>. È certo che egli, infingardo quanto altri mai, uomo cinico e <<motteggiatore>> piacevolissimo, conoscesse bene Dante. Secondo il Muscogiuri sbagliano quei commentatori i quali credono che Dante ricordi Belacqua solo perché fu un esperto costruttore di strumenti musicali. Il poeta vuole mettere in luce soprattutto la personalità di Belacqua, il quale era da tutti conosciuto per la sua proverbiale pigrizia. Virgilio vede ad un tratto una delle anime, che vanno sempre in coro, seduta con la testa sulle ginocchia e, Dante rivolgendosi ad essa, dice: <<O dolce segnor mio, adocchia / colui che mostra sé più negligente / che se pigrizia fosse sua serocchia>> (vv.109-111 Purgatorio, IV). Il Muscogiuri è uno dei pochi commentatori che considerano Belacqua un personaggio comico; forse non gli possiamo dare torto, perché alcune espressioni che Dante rivolge a Belacquasono tipicamente scherzose, come queste: << […] forse / che di sedere imprima avrai distretta>> (vv.98-99 Purgatorio, IV) e l’altra: << […] Or va tu su, che se’ valente!>> (v.114, Purgatorio, IV). Nell’una e nell’altra espressione è fin troppo evidente che Belacqua vuol far capire a Dante che scalare la montagna del Purgatorio, cioè percorrere la via della purificazione, non è per niente facile. Dante alle parole di Belacqua sorride con indulgenza, e alla fine, dal verso 27, come dice Attilio Momigliano, <<la figura di Belacqua che era disegnata con un leggero spasso, si colora di una leggera mestizia, in armonia con la fisionomia generale di questo regno>>. Tutto il canto è molto familiare e potremmo dire che <<Dante abbia trasportato di peso questa figura dal luogo in cui sedeva in una via di Firenze, in questo ombroso angolo del Purgatorio>>.

L’episodio di Piccarda Donati, che Dante incontra nel cielo della Luna, ha un antecedente nel canto XXIV del Purgatorio, quando Dante si imbatte in Forese Donati, al quale chiede notizie della sorella. Forese informa il poeta che Piccarda gode della beatitudine paradisiaca. Muscogiuri esordisce con la curiosità di sapere perché Dante desiderasse rivedere Piccarda, di cui conosceva la rara bellezza e purezza, perché era molto amico dei fratelli Corso e specialmente di Forese. Piccarda aveva chiesto di entrare in convento per prendere i voti come suora delle Clarisse, un ordine fondato da Santa Chiara d’Assisi. Purtroppo, il sogno di Piccarda, prima realizzato, si infranse perché il fratello Corso voleva che la sorella sposasse un potente e ricco signore, Rosellino della Rosa. Piccarda fu tratta fuori dal convento da <<Uomini poi, a mal più ch’a bene usi>> (v.106 Paradiso, III) contro la sua volontà, ma conservò sempre nel proprio cuore, la sua fedeltà a Santa Chiara. Muscogiuri nota giustamente che, quello di Piccarda rimarrà sempre un dramma intimo e triste. Dante neppure in questo canto vuole dissociare il mondo classico da quello cristiano, e lo fà con uno dei più dolci e affettuosi episodi mitologici, quello di Narciso, che segue la bellissima similitudine dei versi 10-18 (Paradiso, III): << Quali per vetri trasparenti e tersi, / o ver per acque nitide e tranquille, / non sì profonde che i fondi sien persi, / tornan de’ nostri visi le postille / debili sì, che perla in bianca fronte / non vien men tosto a le nostre pupille; / tali vid’io più facce a parlar pronte; / per ch’io dentro a l’error contrario corsi / a quel ch’accese amor tra l’omo e ‘l fronte>>. Francesco De Sanctis, che definì la Divina Commedia <<una sinfonia magistrale>>, dice che <<le similitudini sono le vere gemme del paradiso>>. Dante non perde l’occasione di spiegare al lettore molti problemi teologici e, sulla bocca di Piccarda mette quello della beatitudine paradisiaca. Dopo la bellissima reticenza del verso 108 (Paradiso, III): <<Iddio si sa qual poi mia vita fusi>>, che ricorda l’altra del V canto dell’Inferno: <<Quel giorno più non vi leggemmo avante>>, si chiude l’episodio con Piccarda che si allontana cantando <<Ave Maria>> e cantando, svanì <<come per acqua cupa cosa grave>>.

Appendice

Desidererei, come cittadino mesagnese, legato alla propria città, conoscere quali sono i motivi per cui il nome e il cognome del professor Muscogiuri sia stato rimosso dalla denominazione del liceo scientifico statale di Mesagne. Mi rendo conto che Epifanio Ferdinando è il genio mesagnese per eccellenza, ma la vita di Muscogiuri è un grande esempio di cultura e di generosità, poiché è noto che il professor Muscogiuri lasciò per testamento tutti i suoi beni alla Congregazione di carità. Inoltre, sarei grato a chiunque mi suggerisse l’iter burocratico da seguire perché il Liceo Scientifico di Mesagne possa tornare ad essere intitolato anche al nome di questo nostro generoso e prestigioso concittadino.

Prof. Ermes De Mauro  (Socio Onorario dell’Associazione G. Di Vittorio Mesagne)

www.divittoriomesagne.it

Seguici su Facebook

Condividi su:

Commenta

Il tuo indirizzo mail non sarà reso pubblico.

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.