Il complesso archeologico di vico Quercia, costituito dagli scavi a vista e dalla necropoli sottostante la proprietà della “Caffetteria Nedina”, dallo scavo di vico Quercia (attualmente coperto all’interno del locale “Antico frantoio”) e dalla pertinenza contigua dello scavo dell’Associazione “G.Di Vittorio”, si distingue per i dati restituiti per la conoscenza delle fasi più antiche di Mesagne, la posizione strategica all’interno del centro storico, nonché la vicinanza al Museo Archeologico.

Purtroppo la visione del complesso risulta frammentata per le diverse titolarità della proprietà, mentre la fruizione è limitata sia per la difficile leggibilità degli scavi di proprietà comunale, sia per problemi di sicurezza. Tuttavia l’importanza dell’area e non solo per la storia mesagnese è ben intuibile oltre che dalla letteratura archeologica a carattere scientifico dalla sintesi proposta al piano terra del “Museo del territorio”.

Storicamente l’area, da quanto emerge dalla ricerca archivistica, si attesta nel vicinato del Pendino, poi Castello, interessato a presenza antropica dalla seconda età del ferro (VII secolo a.C.) all’età odierna (del vicinato del Pendino parla proprio la prof.ssa Giardino che con il suo ultimo lavoro ha allargato lo sguardo dal sito archeologico all’assetto del quartiere dalle origini).

Ubicata nella parte nordoccidentale della Terra risulta delimitato dalle mura medievali a nord e ad ovest, l’area deve probabilmente il suo nome, al pendio su cui risulta situato in graduale discesa verso le attuali Porta Grande e piazza Vittorio Emanuele II.

L’area risulta nota nella letteratura locale per un ritrovamento occasionale del 1882, ma soltanto con gli scavi condotti dalla Soprintendenza Archeologica della Puglia begli anni 1997-2000 è stata interessata ad indagini scientifiche che hanno consentito di rilevare le fasi più antiche della sua occupazione antropica risalenti alla fase japigia.

L’abitato riferibile a quest’ultima (VII secolo a.C.) è rintracciabile nelle strutture murarie a secco  ed in alcune sepolture di bambini entro vasi ad impasto (enchytrismoi); importanti pure le quatto stele funerarie in pietra, tre delle quali con scene figurate a bassorilievo, rinvenute nella parte superiore di un muro lungo quasi 30 metri e spesso 4, databile dal rinvenimento associato delle ceramiche al VII secolo a.C.. Detti elementi sono stati interpretati come segnacoli funerari, ma non è escluso che si potesse trattare di un grande tumulo funerario gentilizio.

All’età messapica si riferisce, probabilmente, la costruzione di una strada che fiancheggia il muro del VII secolo a.C., affiancata in entrambi i lati da una banchina realizzata con pietre informi su cui furono installate, dalla fine del IV secolo a.C. un gruppo di tombe a semicamera, utilizzate ancora sino al I secolo a.C..

Si tratta di otto tombe monumentali, sei delle quali indagate, accomunate dallo stesso orientamento e dalla stessa tipologia: scavate nel banco geologico naturale e coperte da lastroni, mostrano pareti interne dipinte. Molto interessante  la presenza in una delle tombe di una porticina in pietra ruotante su cardini, decorata con il motivo del cancello d’oltretomba realizzato a rilievo.

Tre tombe recano anche delle iscrizioni, mentre per una risultano evidenti i solchi  lasciati dal letto funebre. Quanto ai corredi, ad eccezione di quello relativo alla sepoltura oggi interrata in vico Quercia, risultano tutti dispersi.

Alla fase tardo-messapica si riferisce una struttura in blocchi di carparo interpretata come un recinto cultuale aperto su un’area libera pavimentata.

La fase romana e quella medievale (cui appartengono i pozzi, le cisterne e le strutture leggibili nell’area a vista) risultano diversamente significative per la storia del sito che, come detto, non solo presenta le tracce più antiche dell’insediamento umano in Mesagne, ma che, soprattutto, ha restituito le eccezionali sepolture che proiettano il centro antico entro un orizzonte non solo “salentino”, ma anche mediterraneo.

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