Presentazione di GIOVANNI GALEONE del libro di Claudio Scamardella “LE COLPE DEL SUD” Iniziativa del 10 gennaio 2020 – Associazione Di Vittorio.

Buonasera e benvenuti a questa prima iniziativa del nuovo anno dell’Associazione Di Vittorio. Leggendo domenica 24 novembre sulle pagine del Nuovo Quotidiano di Puglia le prime anticipazioni del libro del direttore Claudio Scamardella, sono rimasto impressionato per la nettezza e lucidità delle tesi riportate e ritenendole di notevole stimolo e interesse ho subito inviato una mail all’editore e alla segreteria del Quotidiano richiedendo la disponibilità per una presentazione del libro presso la nostra Associazione. E quindi eccoci qui, ringraziando il Direttore, autore del libro Le colpe del Sud, per la sua disponibilità, l’editore Manni che ha favorito l’iniziativa, il professore Francesco Fistetti, notista politico dello stesso quotidiano e professore emerito di Filosofia dell’Università di Bari che ha accettato di fare da correlatore della serata e la libreria lettera 22 che può rendere disponibile il libro.

Sono contento anche di inaugurare con la presentazione di questo libro la mia presidenza all’Associazione Di Vittorio che qualche settimana fa ha rinnovato i suoi organismi dirigenti, l’onorevole Faggiano è stato nominato presidente onorario, Norma De Francesco è la vice presidente dell’Associazione, Cosimo Zullo il segretario, Emanuele De Nitto il tesoriere.

Sono contento perché la questione meridionale è sempre un tema che mi ha appassionato, una decina di anni fa, l’Associazione di Vittorio non era ancora operativa, organizzai un incontro con Mesagne sera, presso la Biblioteca comunale con Franco Cassano che aveva dato alle stampe “Tre modi di vedere il Sud”.

E Scamardella nel suo libro ha ripreso il pensiero meridiano di Franco Cassano riconoscendogli di essere stato il tentativo culturale più raffinato di innovazione del meridionalismo. Questo pensiero ha lasciato segni importanti, la necessità di ripartire dalle forze endogene del territorio, dalla sua cultura e identità, di non puntare esclusivamente sugli indicatori economici, di riscoprire la lentezza. Suggestioni importanti che conservano ancora il loro valore, che hanno prodotto qualche oasi di di innovazione ed eccellenza, bisogna però ammettere che se nel frattempo peggiorano le condizioni materiali di vita nel Mezzogiorno, la precarietà avanza, i giovani vedono altrove il loro futuro, il decremento demografico si accentua, l’economia ristagna, forse anche la spinta propulsiva di questo pensiero si è inaridita nel tempo sotto i colpi della realtà, perché le eccellenze non hanno fatto sistema e sono divenute più che altro eccezioni isolate.

Dunque Le colpe del Sud, un libro agile e denso, un mosaico pregnante, analitico, severo, non privo di indicazioni di prospettiva. Voglio dire brevemente la mia, avendo sollecitato e organizzato questo incontro. Diciamo subito a scanso di equivoci, che l’autore non cede nulla alla retorica nordista aggressiva del Sud parassitario che vive a spese del Nord, né all’autonomia differenziata progettata chiaramente ad uso e vantaggio delle regioni settentrionali, e sostiene le battaglie per un’equa distribuzione delle risorse pubbliche (17.000 € per abitante al Nord contro i 13.000 € al sud) e per correggere le iniquità dovute al vergognoso criterio della spesa storica che penalizza pesantemente i livelli essenziali delle prestazioni nel meridione.

Detto ciò, non ci sono però autoassoluzioni per noi meridionali, perché se dai tumultuosi cambiamenti degli ultimi trent’anni è uscito un Sud ancora più debole, decomposto, con la prospettiva concreta di una desertificazione umana e produttiva, di errori ne abbiamo fatti, molti, moltissimi. Diciamola pure tutta sino in fondo, i nemici principali del Sud abitano nel sud, non altrove.

La questione meridionale si è esaurita 30 anni fa, sommersa dalle macerie politiche e ideologiche del vecchio ordine mondiale e poi risucchiata nel vortice creato dall’incrocio tra globalizzazione e rivoluzione tecnologica, siamo stati ridimensionati come mercato di consumo, sono nati nuovi e più promettenti mercati all’estero, ridimensionati anche come serbatoio di manodopera, la nostra rendita territoriale ne è uscita fortemente ridimensionata.

La questione meridionale si è quindi esaurita come questione nazionale e come problema occidentale divenendo dice Scamardella la questione meridionali con la i finale, il problema cioè dei meridionali nel senso che tocca ad essi, primi fra tutti, affrontare e risolvere questo nodo storico. E questo impone un rovesciamento di prospettiva: non più che cosa possono e devono fare l’Italia, l’Europa, l’Occidente per il Sud, ma che cosa il Sud può dare all’Italia, all’Europa e al mondo.

Il punto nodale è quindi che la questione meridionale venuta meno come questione nazionale di vecchio stampo, per i motivi prima detti è stata assorbita nell’alveo  della questione mediterranea, è questo il punto innovativo da cui partire e che non abbiamo capito, altro che il rivendicazionismo di difesa, il vittimismo, la resistenza, la nostalgia di un passato neoborbonico paradisiaco mai esistito, l’arretratezza e i ritardi del Sud sono preesistenti all’unità d’Italia e risalgono al declino politico del Mediterraneo da molti secoli prima.

Ma la situazione per il Mediterraneo adesso è cambiata, anche se in questo momento soffiano venti di tensione, il ruolo del Mediterraneo è divenuto importantissimo. I traffici che vanno dall’Estremo Oriente all’Occidente, e dall’Africa all’Europa, cioè da paesi a forte sviluppo e crescita verso l’Europa, con il raddoppio del canale di Suez e l’aumento delle movimentazioni hanno reso il Mediterraneo un ‘area strategica di fondamentale importanza. Il grave errore delle classi dirigenti del Sud è di non aver capito che i nuovi scenari nazionali e internazionali emersi dalle rotture di fine millennio, hanno cambiato completamente le carte in tavola, e noi abbiamo sprecato 30 anni. Bisognava trovare un’idea-forza in grado di far stare il Mezzogiorno dentro i nuovi processi messi in moto dalla deflagrazione della geografia politica ed economica. Il nuovo meridionalismo doveva avere il coraggio ed anche l’audacia di convincere il Nord che il ritrovato ruolo del Mediterraneo fosse un’opportunità per l’intero paese, e che il Sud fosse per le sue caratteristiche geografiche l’area più adeguata per una missione strategica nei nuovi scenari geoeconomici. Quindi non più protezione e assistenza, ma una missione strategica per l’Italia in connessione con l’Europa. Abbiamo preferito scegliere la strada del sudismo, una miscela di orgoglio territoriale unito a un populismo identitario che oggettivamente non ci ha fatto fare passi in avanti. E’ arrivata la stagione dei capi-popolo più che dei governanti  Il Mezzogiorno è regredito prima ancora che negli indicatori economici e sociali, sul piano politico, culturale, intellettuale, in questo vuoto si è inserita un’ondata anarco-populista  che ha alimentato un ribellismo trasversale. Ecco le colpe del Sud.

E dobbiamo anche sfatare alcuni miti. Non esiste nel Mezzogiorno una buona società civile vittima di una cattiva società politica, questa è una falsa rappresentazione dietro cui ci si vuole riparare ed autoassolversi. Le élite meridionali, la borghesia intellettuale e delle professioni non ha guardato quasi mai agli interessi generali della società meridionale, ma ha curato soprattutto esigenze corporative e bisogni particolari. Ed è stata questa borghesia che tra nomine e incarichi, relazioni amicali e scambi di favore in camere di compensazione, reti protettive e gestione indiretta dei flussi di spesa pubblica, ha rappresentato il più grande centro di conservazione e il coacervo di interessi corporativi che hanno contribuito all’immobilità del Mezzogiorno, oltre che agli sprechi e alle inefficienze.

Cioè la borghesia meridionale non ha assolto la sua funzione storica di modernizzazione dei costumi e delle istituzioni politiche e produttive, come invece avvenuto altrove, e questa carenza ha portato nel Mezzogiorno a un maligno circolo vizioso tra società decomposta e disordine politico. Il deficit di società dice Scamardella ha prodotto la principale malattia del sud: la separatezza, l’assenza di coesione sociale, la carenza di fiducia tra cittadini e istituzioni, l’irresponsabilità pubblica, un individualismo incontrollato ed eversivo rispetto al bene comune. Insomma una situazione in cui la cultura dei diritti e dei doveri è rimasta schiacciata dalla cultura della protezione e della sudditanza, la conseguenza che ne è derivata è che la politica anziché essere espressione di un progetto e di un disegno è diventata la gestione di una ragnatela di interessi particolari che non fanno mai una visione generale.

L’altro mito da sfatare è che è falsa, non esiste una contrapposizione tra un Sud laborioso, civile, colto e un Sud indolente, furbo e assistito, questi due sud sono 2 facce della stessa medaglia che convivono, s’intrecciano pur nella loro separatezza, non sono antagonisti, ma spesso complici nel perpetuare l’immobilismo ed il circolo vizioso che porta a puntare più sulla concessione dei favori che sul rispetto dei diritti e la necessità dei doveri.

Il paradosso che oggi viviamo è che gli accusatori e i nemici storici del Sud che puntavano in passato alla secessione del Nord Italia vengono riconosciuti dagli elettori meridionali come il naturale approdo della rappresentanza dei propri bisogni e dei propri interessi. Forse è proprio l’assenza di una visione meridionalista a spiegare la successione tanto ravvicinata quanto stravagante di rappresentanze opposte e alternative cui l’elettorato meridionale si è affidato negli ultimi decenni sul piano nazionale: dal berlusconismo al renzismo, dallo straripante consenso al M5S sino all’ultima incoronazione di Salvini alle europee. Una navigazione a vista dettata dalla contingenza, più rispondente alle domande e ai bisogni del momento che a una riflessione meditata e profonda.

Questo non è un libro però per piangersi addosso, lamentarsi, per auto flagellarsi, questo libro ha il significato di una passione profondamente sentita che proprio perché tale, parte dalle colpe per individuarle bene, superarle, liberarsene e puntare a costruire un nuovo racconto. E’ un libro perciò propositivo, perché indica delle strade da percorrere.

E anche quando parla nella seconda parte del caso pugliese e del laboratorio Salento è un racconto interessante perché è fatto muovendo da un osservatorio privilegiato, quello della direzione di un giornale importante che ha saputo conquistarsi un ruolo di notevole rilievo e dettaglio dentro il territorio ed è la visione di un intellettuale non pugliese, perché il Direttore è napoletano, si trova nel Salento da 10 anni, ma questa sua caratteristica lo rende anche un osservatore più distaccato e meno condizionato.

Anche la Puglia è una regione che, negli ultimi anni, forse più di tutte, è caduta nella spirale del sudismo, incarnandone le contraddizioni sia di governo che di opposizione, un sudismo impastato di sovranismo territoriale, di antimodernismo che ha alimentato una spirale pericolosa, la delegittimazione dei decisori pubblici, il disprezzo verso le competenze, la derisione della scienza, il ricorsismo sistematico alla magistratura .

Le allucinanti vicende della Xylella, della Tap e dell’Ilva, trattate nel libro a ritmo incalzante e con dovizia di particolari, temi sensibili e di rilievo nazionale, ma soprattutto di facile manipolazione nella formazione del sentimento pubblico hanno dimostrato le disastrose conseguenze a cui un territorio può andare incontro quando la politica e le istituzioni, compresa la magistratura in certi frangenti, rincorrono tutte le piazze reali e digitali, del ribellismo, di un ambientalismo estremo e strumentalizzato, parlando il linguaggio del consenso anziché il linguaggio della verità, ricercando la popolarità anche se in contrasto con l’etica della responsabilità. Le conseguenze di questi approcci poi sono le giravolte, i passi indietro clamorosi, le contraddizioni, ricette semplicistiche e inadeguate rispetto a problemi complessi. Il risultato che abbiamo alla fine è comunque che la Xylella avanza verso il Nord, che l’infrastruttura della Tap si sta facendo senza avere un ristoro compensativo a beneficio del territorio, e l’Ilva rimane una partita aperta e complessa tra alti e bassi.

In questo contesto non esaltante e di deficit delle classi dirigenti sarebbe già molto e mi accontenterei sinceramente di questo, riuscire almeno a spendere i soldi dei fondi comunitari, perché le risorse ci sarebbero nel Fondo Europeo di sviluppo regionale e nel Fondo sociale europeo, dove la percentuale di spesa è evidentemente non esaltante, per non parlare del Piano di sviluppo rurale che ha lasciato l’agricoltura pugliese in una situazione veramente disagiata a prescindere dalle calamità biologiche e climatiche che già avevano tramortito il settore, qui non c’entra il Nord, non c’entra lo Stato, non ci sono nemici esterni alla Puglia. Io mi accontenterei di rendere i nostri porti efficienti, almeno attrezzare le aree retroportuali  mi accontenterei di dragare i fondali del porto di Taranto, perché un porto è tale se in grado di ricevere efficacemente le navi portacontainer, se tu invece produci incapacità decisionale, ambientalismo pregiudiziale e ricorsi su ricorsi, il risultato è  far scappare 2 giganti asiatici del trasporto marittimo mondiale come Evergreen e Hutchison wampoa con i contratti di investimento già pronti che  avrebbero creato un enorme movimento economico, sono andati al Pireo, porto che oggi movimenta più merci di tutto il Nord Italia e non è collegato via terra al cuore dell’Europa come lo siamo noi.

E sul Salento che ha saputo imporsi come terra di vacanze, glamour, relax l’autore invita a non cedere all’ottimismo patinato da cartolina, il territorio vive una fase di cambiamento il cui approdo non è scontato, non ci si può lasciare  sedurre solo dalle luci e dal divertimentificio estivo, il Salento resta una terra di crisi e sofferenze, di bisogni e diritti ancora negati e dove la lacerazione degli affetti familiari, con la divisione tra genitori e figli che emigrano senza più tornare, non accenna a diminuire. La spirale decremento demografico-fuga dei giovani-invecchiamento rischia di consegnarci, nel breve periodo, una terra spopolata, un luogo per soli anziani o per turisti. Attenzione: se questo processo demografico negativo non viene disinnescato in tempi rapidi il destino è segnato, diventerà una situazione insostenibile anche economicamente. Per invertire la rotta il territorio ha una sola possibilità: divenire attrattivo per scelta di vita dei propri giovani o di giovani provenienti dall’estero. Ma per essere attrattivi e avere forza propulsiva, i territori devono aver almeno 3 requisiti: essere poli di conoscenza, ricerca, innovazione, connessi attraverso le reti con tutto il mondo, avere un’alta dotazione di capitale umano qualificato, offrire sevizi di qualità a costi competitivi, c’è bisogno anche di un’apertura culturale, i territori che prosperano sono quelli che attraggono le diversità e le trasformano in risorsa. È necessario che le classi dirigenti locali assumano una maggiore responsabilità rispetto alle sfide dello sviluppo, mettendo in rete progetti e competenze per imporre un federalismo dal basso che ridisegni un nuovo assetto istituzionale che superi un neocentralismo regionalista che finora ha dato risultati tutt’altro che esaltanti e qui Scamardella fa proposte nuove anche sull’assetto istituzionale che sarebbe necessario per un rilancio del Mezzogiorno.

Giovanni Galeone (Presidente dell’Associazione G. Di Vittorio Mesagne).

www.divittoriomesagne.it

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