Introduzione di Giovanni Galeone alla presentazione del libro “Vivere per sempre” di Mons. Vincenzo Paglia

Buonasera, grazie per la vostra partecipazione. Questa sera ci siamo spostati dalla nostra piccola sede per presentare il libro Vivere per sempre, l’esistenza, il tempo e l’oltre di mons. Vincenzo Paglia, perché l’Auditorium gentilmente concesso dal Commissario Prefettizio dr.ssa Erminia Cicoria che ha dato anche il patrocinio all’iniziativa, ci sembrava più adeguato al livello dell’iniziativa e degli ospiti e anche più accogliente come capienza.

Noi dell’Associazione Di Vittorio siamo gente un po’ curiosa, se volete anche inquieta, ci piace approfondire, riflettere, confrontarci e soprattutto quando parliamo di temi più lontani dalle nostre attività consuete, abbiamo l’ambizione di voler capire, cogliere più in profondità, afferrare meglio alcune tematiche delicate e impervie e anche di offrire al pubblico che lo desidera un’occasione di riflessione.

Può essere la lettura di una recensione intrigante a ridosso della pubblicazione del libro, a stimolare intanto la lettura dello stesso che ne conferma il valore, lo spessore, se ne coglie la passione, le acute e stimolanti considerazioni, poi a tentare per le vie del web un contatto, magari senza molte speranze, far venire un alto e impegnato prelato in una piccola realtà del Salento, periferica, un po’ fuori dai circuiti mediatici, e invece no, abbiamo una disponibilità, la manifestazione di una volontà di esserci, di cogliere il nostro interesse, ringrazio davvero mons. Paglia e mons. Mensuali della segreteria della Pontificia Accademia per la vita per la squisita disponibilità. E quindi eccoci qui

Dunque Vivere per sempre, un titolo che parla delle cose ultime e affronta quindi il tema della morte declinandola con una continuità di vita che prosegue nell’Oltre.

Il tema della morte nella vita contemporanea è un po’ esorcizzato, un po’ per difenderci dalla complessità che comporta il pensiero della morte, un po’ per evitarne l’angoscia e l’afflizione, essa è stata cancellata dal nostro orizzonte di senso, Mons. Paglia dice è stata esculturata, messa da parteanche a livello di riflessione alta, viene nascosta ai minori, non è indagata, nella stessa predicazione cristiana si assiste ad un occultamento delle cose ultime, un affrontare il tema in modo un po’ scontato e superficiale, con parole spesso non sempre adeguate.

Il presente sembra imporre la sua dittatura, siamo soggiogati da un presentismo nel quale la dimensione prevalente è la velocità, vivere con la massima intensità l’oggi, incuranti di ciò che viene dal passato e superficiali sulle ricadute per il futuro.

Per dirla in altre parole, la morte, se non ti arriva dentro casa meglio non parlarne e non pensarci, tenerla lontana, neutralizzare l’inquietudine del suo pensiero con l’irrequietezza del nostro divertimento. Solo che il nostro divertimento, la nostra informazione quotidiana, la nostra vita è affollata di immagini truci e violente, di efferatezze dove non la morte ma la vita sembra l’eccezione alla normalità, perché in molte parti del mondo la normalità è la malattia, la fame, la guerra, l’abbandono, popoli interi che si spostano nel nulla e più che seguire le tracce della vita, cercano di far perdere le loro tracce alla morte e non sempre ci riescono.

Quindi la morte cacciata dalla porta rientra dalla finestra, ma l’effetto di questo rientro è una forma di anestesia, una narcosi che neutralizza la nostra capacità di fronteggiare la sua drammatica realtà.

Una cultura come la nostra tende perciò ad escludere il pensiero della morte e magari crea il mito dell’eterna giovinezza, induce persino a sentirsi in colpa per il nostro essere malati, vulnerabili, semplicemente deboli o semplicemente anziani e magari cinicamente si è invitati anche a togliere il disturbo.

Il vero modo per contrastare la morte nella sua capacità di generare angoscia e disperazione, è quella di assumerla in proprio come un’esperienza umana, importante, complessa, bisognosa di attenzione e di riflessione. Fare i conti con la mortalità dell’essere umano, con la finitezza è fondamentale per affrontare anche la vita in maniera più serena e consapevole.

Ed è questa la sfida che mons. Paglia raccoglie, affondando coraggiosamente la riflessione sulle questioni ultime e rivolgendosi a credenti e non credenti. Non è il primo volume che mons. Paglia ha pubblicato sull’argomento, questo è in qualche modo la continuazione e il completamento di un’altra sua pubblicazione “Sorella morte” del 2016. Tra l’altro mons. Paglia è in libreria in questi giorni anche con un altro libro: La coscienza e la legge. Dialogo tra mons. Paglia e il magistrato Raffaele Cantone.

E tornando a questa sfida: se la morte precipita tutto nel nulla, affetti, famiglia, insomma un’estinzione totale, sarebbe per mons. Paglia uno spreco ingiustificabile della vita umana che conosciamo, considerarla semplicemente così, lo spegnersi di un interruttore che ci precipita verso il niente, senza indagare a fondo, semplicemente rassegnandosi alla caduta nel vuoto, nel nulla,sarebbe offensivo anche per la nostra intelligenza. E così vengono fuori domande che interrogano la coscienza di chi ha fede, ma anche del non credente. Per quale ragione siamo appassionati, lottiamo e siamo pronti al sacrificio per la giustizia, per la dignità nella vita, se poi la morte con un colpo di spugna riduce al nulla tutti gli orrori della storia individuale e collettiva. Di fronte alle enormi masse di ingiustizia che vediamo ogni giorno e che rimangono senza riscatto terreno, qualetormento ci può far accettare la morte come una sanatoria di tutto ciò che è stato, bello e brutto, vittime e carnefici, innocenti e colpevoli? Sono domande non banali

E le opere di bellezza, l’ingegno, i lasciti dell’intelligenza umana, i sacrifici che hanno reso godibile e amabile la vita, scrivono una storia della vita del pianeta della quale anche le divinità avrebbero da imparare. La singolarità del Bing Bang iniziale che avrebbe dato vita all’Universo aveva previsto già tutto questo?

Ma gli uomini e le donne, per quanto fragili e vulnerabili, sono in qualche modo vincolati da un patto d’onore con il pensiero, la coscienza, la giustizia, con lo spirito e in nome di questo patto con la qualità spirituale della nostra vita, milioni di uomini e donne si sentono responsabili ogni giorno di dare valore e dignità a questo patto, per la qualità del nostro vivere, e non soltanto, semplicemente, per assolvere a necessità organiche ed utilitaristiche dell’esistenza.

Non siamo nati per assecondare la vita, ma per fronteggiarla e trasformarla, renderla migliore per tutti e particolarmente per quelli che fanno più fatica a viverla.

Perché dice mons. Paglia in una riflessione che è molto illuminante, guardate che l’aldilà inizia già sulla terra, qui, perché il Cristianesimo non è la religione dell’aldilà che consegna questa vita alla sua definitiva rottamazione, è piuttosto la religione secondo la quale la vita dell’aldiqua termina con un passaggio che apre verso l’orizzonte della sua piena risoluzione.

Il ns compito allora e vale per tutti è di impedire con tutta la ns forza che l’abisso del male, dell’ingiustizia inghiotta gli uomini e li renda complici della sua potenza distruttiva. Noi siamo al mondo per impedire che l’inferno del male diventi eterno, perché l’inferno non è nell’aldilà, è qui da noi, è dove ci sono solitudine e abbandono, dove regnano ingiustizia, violenza, lì c’è l’inferno dice mons. Paglia. Non sono un inferno i centri di trattenimento degli immigrati in Libia? Non sono in una situazione infernale gli esuli, i migranti, i bambini che muoiono di fame in Africa? Non sono un inferno le traversate dei barconi nel Mediterraneo? Oggi voltiamo la faccia dall’altra parte e chiudiamo i porti? E’ questa la grande soluzione? La fantasia popolare dell’inferno sembra essere largamente superata dalla realtà dell’orrore terreno. Questi inferni dice don Vincenzo Paglia vanno smascherati, bisogna scendere negli inferni di questo mondo per svuotarli perché quando si fa questo cresce il regno dell’amore, della convivenza e della pace e si costruisce qualcosa anche per il dopo. L’amicizia con i poveri è il cuore del Cristianesimo dice Papa Francesco.

E’ l’amore che può unire credenti e laici come risposta al senso della vita, mons. Paglia e i credenti hanno il dono e la grazia della fede che vede nella resurrezione la dimensione che affronta e supera il mistero della morte, il non credente di fronte all’ipotesi di un destino oltre la morte per ciascuna delle tante piccole creature umane che hanno popolato il pianeta nei millenni mostra tutti i suoi dubbi. E’ lo spazio del mistero che va salvaguardato e la risposta a questo mistero non può essereche l’altruismo, l’amore, la leva che può spingere ciascuno di noi verso il meglio, verso vite che la pena di vivere, verso una comunicazione con gli altri che supera diffidenze e ostilità, forse conqueste modalità si può accendere qualcosa che va oltre noi stessi.

Abbiamo pensato in questa iniziativa di presentazione di mettere insieme sotto forma di dialogo aperto, l’autore mons. Vincenzo Paglia, Arcivescovo emerito di Terni, oggi Presidente della Pontificia Accademia della Vita e il prof. Francesco Fistetti, nostro conterraneo, ordinario di Storia della Filosofia e di Storia delle Filosofie contemporanee all’Università di Bari. Due angolazioni diverse, due punti di vista che si confrontano.

Giovanni Galeone

 

www.divittoriomesagne.it

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