“LO VOLEVANO BENE ANCHE LE PIETRE” -così dicevano i “suoi” braccianti di Giuseppe Di Vittorio-

Il 3 novembre 1957 muore uno dei più grandi protagonisti della storia del sindacalismo italiano.

Da bracciante poverissimo e semianalfabeta nella Puglia dei primi anni del Novecento a fondatore del più grande sindacato dell’Italia democratica, deputato all’Assemblea costituente, esponente di spicco del Pci nel dopoguerra e presidente della Federazione sindacale mondiale. Una vita, quella di Giuseppe Di Vittorio, avventurosa e intensa, che spesso sfiora i confini della leggenda. Se Togliatti è il capo indiscusso della classe operaia, Di Vittorio è il mito, un mito che nasce dalla sua identificazione totale con il mondo del lavoro, in un riconoscimento trasversale e assoluto.

“Lo volevano bene anche le pietre”, dicevano i suoi braccianti, ed è proprio questa l’immagine che dalla storia ci viene restituita: quella di una persona presente, empatica e attenta, dall’immensa personalità e carica umana. Un uomo, prima che un politico o un sindacalista, circondato da affetto vero, amato da familiari, compagni e lavoratori, stimato dagli stessi avversari come antagonista duro, ma leale.

Giuseppe Di Vittorio muore il 3 novembre 1957 a Lecco, dove si era recato per inaugurare la nuova sede della locale Camera del lavoro. Il viaggio della salma è indimenticabile. Ad ogni stazione ferroviaria il treno deve sostare più a lungo per la folla che, a pugno chiuso, si riversa nelle piazze per salutare Peppino. Tre giorni dopo, in una Roma attonita e commossa, si svolgeranno i funerali. “Il dolore della folla si è espresso profondo e acuto come quello di una famiglia”, scriveva su l’Unità Paolo Spriano.

“Forse neppure Di Vittorio immaginava di avere tanti amici, tanta gente di ogni ceto sociale che se ne partiva ora di casa, e veniva qui a gettargli un fiore, e dirgli che gli voleva bene”.

Una “coscienza del vuoto profondo che Di Vittorio lascia” che ancora oggi sentiamo e che cerchiamo di colmare ricordandolo, leggendolo, studiandolo, non dimenticando mai gli insegnamenti ricevuti nella speranza e nell’impegno di tradurli in fatti concreti.

“Lavorate sodo, dunque, e soprattutto lottate insieme, rimanete uniti. Il sindacato vuol dire unione, compattezza. Uniamoci con tutti gli altri lavoratori: in ciò sta la nostra forza, questo è il nostro credo. Lavorate con tenacia, con pazienza: come il piccolo rivolo contribuisce a ingrossare il grande fiume, a renderlo travolgente, così anche ogni piccolo contributo di ogni militante confluisce nel maestoso fiume della nostra storia, serve a rafforzare la grande famiglia dei lavoratori italiani, la nostra Cgil, strumento della nostra forza, garanzia del nostro avvenire. Quando si ha la piena consapevolezza di servire una grande causa, una causa giusta, ognuno può dire alla propria donna, ai propri figliuoli, affermare di fronte alla società, di avere compiuto il proprio dovere. Buon lavoro, compagni”.

(di Ilaria Romeo –collettiva.it)

 

 

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